INTERVISTE NEL CASSETTO: OTTAVA PUNTATA GIANPIETRO BOTTA’

1. Quando e come nasce la tua passione per l’atletica e la corsa in montagna in particolare?

Atleta a 13 anni, specializzazione 1500 metri sotto la guida di Carlo Tondini, ma ben presto con gli amici Giuliano, Arturo e Pierangelo andando con le star di allora Attilio, Tarcisio, Aldo, Eugenio, siamo stati ammaliati dalle corse in montagna: le mitiche gare bergamasche che allora erano paragonabili alle gare ciclistiche Roubaix o Fiandre. I grandi Volpi, Lavelli, Mostacchetti, Balicco, Conti erano vere rock-star: ricordo una vittoria di Volpi a San Pellegrino con tutta l’Inter con Helenio Herrera in testa ad applaudire. Conti addirittura fu mandato alle Olimpiadi di Roma ove vinse i 5000 metri in semifinale con 13’56”. La nostra casa era l’Oratorio di Morbegno e l’allora assistente spirituale Don Davide Colico ci guidava non solo come atleti, ma ci insegnava e ci spronava a credere nei sogni e soprattutto a impegnarci per realizzarli

2. Seguendo e praticando la corsa in montagna, quali Paesi hai avuto l’occasione di visitare?

Prima come atleta, poi come dirigente, ho cominciato a frequentare l’ambiente internazionale, per cercare, insieme ad altri, di creare un Comitato internazionale ufficiale. Portavamo con noi i migliori atleti per dare all’Italia un prestigio internazionale: ricordo una vittoria di Claudio Simi in Svizzera ove sbalordì tutti giungendo al traguardo prima che fosse affisso lo striscione del traguardo, le vittorie di Vallicella in Austria, le vittorie di Fabio Ciaponi in Israele, la vittoria di Privato Pezzoli in Galles e la seconda posizione di Gabriele De Nard in Slovenia, battuto in volata da Franci Teraz; parlo di quel De Nard che pochi giorni fa ha vinto a quarant’anni il titolo italiano di corsa campestre.

3. Veniamo ai tuoi numerosi incarichi sportivi. Iniziamo con il parlare dell’organizzazione del Trofeo Vanoni, la tua gara del cuore. Quando hai iniziato a seguirla? La vuoi presentare ai non addetti ai lavori?

Il Trofeo Vanoni ha sempre accompagnato la mia vita. La gara a staffetta è la perifrasi della vita: prendiamo da qualcuno per dare a qualcuno. Nelle selve dove passa il “Vanoni” c’è tutta la nostra gioventù, il percorso poi è una sintesi tra velocità, forza, coraggio, emozione, felicità e gente: gente che ti applaude, gente che ti chiama, gente che non c’è più e che solo al “Vanoni” individui la loro ombra.

4. Grande anche il tuo impegno per la promozione della corsa in montagna nel mondo, prima con il C.N.C.M. e poi con la nascita della WMRA. Raccontaci come sono cambiate le cose in questi anni e qual’è stata la tua esperienza.

Nel nostro sport abbiamo strutture in tutto il mondo, le montagne rendono la gente che vi abita molto simile: stessi problemi di lontananza dai centri direzionali, scomodità di vita e fatica della periferia, per questo anche il creare un’organizzazione per una gara può essere l’inizio di una evoluzione del vivere civile. La creazione del Comitato Nazionale Italiano e il Comitato Internazionale con De Biasi, Balicco e il sottoscritto sono stati un buon esempio di aggregazione internazionale: pensate che allora c’era ancora la Jugoslavia unica, ora le nazioni sono diventate tante, ma la montagna aiuta l’amicizia e il rispetto reciproco e il Mondiale del 2011 in Albania ha indicato la via giusta in queste zone spesso in conflitto.

5. Sfogliando l’album dei ricordi: la Coppa del Mondo di corsa in montagna nel lontano 1986. Una serie di eventi porta all’ultimo momento in Valtellina questa importante manifestazione. Come andarono le cose?

Il Mondiale in Valtellina nel 1986 è nato in un mese perché l’Inghilterra, che doveva organizzarlo, rinunciò. Ne parlai con il mio amico fraterno Attilio Speziale e stabilimmo “si può fare”. Attilio è sempre stato un punto di riferimento perché io sono sempre stato bravo a creare i problemi, lui a risolverli. Creato il Comitato Morbegno-Sondrio abbiamo organizzato dei Mondiali super.

6. Il futuro della corsa in montagna: cosa ci dobbiamo aspettare?

La World Mountain Running Association è composta ormai da 50 nazioni e l’attuale presidente Bruno Gozzelino gode di tutto il prestigio che i vecchi De Biasi, Balicco e, concedetemelo, Bottà hanno prodotto.

7. Sei sicuramente un uomo dai tanti interessi, in particolare hai una predisposizione naturare a intrecciare amicizie “internazionali”. Grazie in particolare all’amicizia con Ken Jones è nato il gemellaggio tra Trofeo Vanoni e Snowdon Race prima e tra Morbegno e Llanberis (Galles) poi. Un’altra bella storia da raccontarci…

Galles 1980: Snowdon Race-Trofeo Vanoni, scambio di sport, ma conoscenza  e stima reciproca. Quando si va assieme in montagna si parla tutti la stessa lingua, si scambiano gli stessi sogni e questo fa sì che non esistano estranei. Il motto del CSI Morbegno è: “non esistono estranei, l’unico estraneo è l’amico che non ho ancora conosciuto”. Tanta gente di Morbegno vuole andare a Llanberis e tanta gente di Llanberis vuole venire a Morbegno. E la storia continua…

8. Altra amicizia “internazionale” quella con Antonio Santori che vive in Israele. Un piccolo uomo che ha fatto grandi cose. Ci racconti la sua storia?

Antonio Santori è partito dal porto di Ravenna con un cargo con destinazione ignota. Il caso ha voluto che sbarcasse al porto di Haifa in Israele. Volle provare l’emozione di essere un guardiano di pecore nel deserto del Negev e su queste colline maturò la passione di correre libero. Organizza una corsa sul Monte Tabor alla quale ho partecipato più volte insieme a forti atleti italiani, tra cui il “prete volante” Don Franco Torresani che al termine della competizione ha celebrato la Messa nel luogo della Trasfigurazione.

9. Tra le tue passioni c’è anche quella per la storia, in particolare ti sei interessato a un personaggio locale come Diego Manzocchi, fornendo materiale prezioso per la stesura di un libro sulla sua storia. Ci vuoi tratteggiare la figura di Manzocchi?

Diego Manzocchi me lo ha fatto conoscere mio figlio Giacomo a Helsinki, abbiamo visto la sua tomba nel cimitero degli eroi finlandesi. Era sergente pilota e all’attacco russo alla Finlandia Diego non esitò a scappare con il suo aereo dall’Italia fascista per correre in aiuto della piccola Finlandia. Fu abbattuto in un impari duello dagli aerei russi e si schiantò nella neve.

10. Passando invece all’arte è recente il tuo interesse per i pittori neo-caravaggeschi. Ne predilighi uno in particolare?

De la Tour, i cui quadri sono stati esposti un mese fa a Milano con enorme successo e, favoloso a dirsi, in Galles ho conosciuto personalmente e ammirato le sue opere nella Cattedrale di Bangor (solo questo vale un viaggio) John Grandville Gregory 45 anni. L’ho conosciuto in un tradizionale pub tra birra, musica irlandese e focolare. John traduce le immagini caravaggesche in chiave moderna con i personaggi in giacca di pelle e jeans. Mi piacerebbe coinvolgere il Comune di Caravaggio o quello di Milano perché è vero che i grandi caravaggeschi sono diversi, ma John è vivo e possiamo capire le impressioni pittoriche di un grande.

11. Sappiamo che sei non uomo che non riesce a stare fermo, un vero pozzo di idee e proposte. Cos’hai in mente per il futuro?

La WMRA ha chiesto al CSI Morbegno di pensare ad un campionato del mondo di corsa in montagna a staffetta numero zero da presentare alle varie nazioni. Il Trofeo Vanoni potrebbe quindi tenere a battesimo questa nuova manifestazione istituzionale.

Poi mi piacerebbe, in occasione del prossimo Trofeo Vanoni, invitare a Morbegno gli organizzatori di due altre manifestazioni che hanno la nostra stessa passione cioè gli organizzatori della Parigi-Roubaix e gli organizzatori della discesa di Wengen, semplicemente per dire a loro “grazie”.

Nel 2017 Gianpietro Bottà ha ricevuto il premio alla carriera dalla Fidal Lombardia.

Data intervista: febbraio 2012

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